Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati.
(Gore Vidal, La statua di sale, 1948)

martedì 24 gennaio 2012

Ancora Perù..


Diciamolo… io sono un’entusiasta di natura. Amo vedere posti nuovi di ogni tipo perché se si è predisposti a farlo in ogni posto si riesce a trovare la bellezza.
Ma ci sono alcuni viaggi che diventano immediatamente un’esperienza meravigliosa. Sono quei posti capaci di annullare completamente tutto il resto e di farti restare sintonizzato solo su quello che vedi in quel momento per cercare di non perdere nessun colore, nessun odore di quello che stai vivendo.
Uno di questi posti, per me, è stata la valle del Colca in Perù, posto che dà anche la foto di sfondo di questo blog.
La valle del Colca è un’immensa vallata che si trova a circa 200 km da Arequipa nella parte più a Sud del Perù. E’ un’escursione faticosa soprattutto per le condizioni delle strade che si attraversano e per l’altitudine che in un punto così alto (quasi 5000 metri) può causare qualche problema. Il rimedio naturale dei peruviani sono le foglie di coca, succhiate al naturale o in acqua calda tipo infuso. Aldilà del sapore piuttosto amarognolo io ho provato entrambi ed effettivamente ti danno una sensazione di minore spossatezza e minore fiacchezza (è anche vero che io non ho avuto grossi problemi per l’altitudine).
Da Arequipa si attraversano paesaggi meravigliosi, nei quali la natura domina incontrastata. Qui e lì greggi di vigogne, lama e alpaca pascolano in mezzo al nulla e, allo stesso modo, sparuti gruppi di capanne fanno da case ai pastori e alle loro mogli che vendono lungo la strada prodotti locali dai  tipici colori sgargianti. (ndr: le vigogne, i lama e gli alpaca sono degli animali della famiglia delle camelidi che vivono sulle Ande). Non mi soffermo molto su cosa abbiamo visto, lascerò che le foto parlino per questi paesaggi.
Attraversare questa valle e soffermarsi con le persone del posto ti dà la fortuna di comprendere un po’ meglio l’animo del popolo peruviano: fiero, dignitoso anche nella miseria più totale, quasi disinteressato a usi e costumi diversi dai propri.

Dopo un giorno di viaggio si arriva nel paesino di Chivay, un agglomerato di case e milioni di cavi elettrici in aria con non molto da offrire se non uno dei pochissimi alberghi della zona ed un mercato mattutino coloratissimo di frutta e verdura. (ndr: a Chivay non ci è stato possibile cambiare degli euro in valuta peruviana – il sol. Conviene quindi sempre cambiare in città più grandi per evitare problemi).
Da Chivay si può concludere la giornata con una tappa alle terme Las Caleras, un punto termale nel quale si può fare il bagno in un’acqua a 40 gradi in mezzo a montagne altissime a quasi 4000 metri. Dopo una notte di sonno ristoratore al mattino di buon ora si arriva alla zona della Cruz del Condor, un canyon profondo 3000 metri all’interno del quale volano immensi condor in tutta la loro imponenza (l’apertura alare di un animale di questo tipo è di circa 3 metri!!!).
Nota di colore: Fausto al canyon ha iniziato a sentirsi un pò male causa altitudine (crampi allo stomaco, mal di testa, ..). La nostra guida (oltre alle immancabili foglie di coca che utilizzano praticamente sempre) ha iniziato a versarsi dell'alcol tra le mani e, dopo averle strofinate, gliele faceva annusare. Sapete che è stato davvero meglio? Altro che medicine...
Nota di colore 2: nel pulmino al ritorno si sono aggregati 4 ragazzi israeliani di 18 anni che, subito dopo la maturità, avevano deciso di trascorrere 6 mesi in sud america con tipo 300 euro in totale. Ma ve le immaginate le mamme italiane di fronte ad un'idea del genere del proprio figlio!??!

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